mercoledì 27 marzo 2013

Scrivere una canzone: Sarà




Scrivere una canzone. Una delle cose più belle che si possano fare nella vita. Sentire il pezzo che nasce nella mente, dal nulla. Iniziare a scrivere una frase al volo, e subito scivola via tutto il testo. Poi quelle parole prendono un'anima e si comincia a canticchiarla. E rimane lì, finchè non si arriva davanti alla chitarra. E su quel ritornello arrivano degli accordi, una melodia. Poi un riff di batteria. E arriva un brivido. Questo è un post apparentemente OT(che bello! quanto tempo che non lo scrivevo! mi ricorda gli anni dei newsgroup, quando la metà dei messaggi erano OT) perchè non parla della costruzione della chitarra.. e in questo caso nemmeno la uso. Però l'emozione per questo pezzo è stata talmente forte che.. alla fine, ci sta. E' una bozza, l'ho dovuto registrare nella camera dove sto.. di sera, senza poter far rumore. Quindi anche la voce è bassa e fuori tono ma.. Mi sono divertito a pensarlo, mi sono divertito a suonarlo.. e mi piace poter provare a far passare quella emozione. 

Mettetevi comodi, chiudete gli occhi.. Sarà è il titolo, e la potrete ascoltare da qui 




lunedì 25 marzo 2013

Milano sotto la neve: il Blues

Vi è mai capitato di avere una canzone in mente? Un ritornello maledetto, che vi entra dentro e non lo si toglie più. A me capita spesso.. spessissimo. Sia di canzoni che mi piacciono sia - peggio- di pezzi che non ascolterei mai volontariamente. E poi a volte, anzi spesso, a me succede un'altra cosa. Parte in un angolo della mente una canzoncina, un loop. A volte un ritmo, a volte una parola, a volte un suono. E rimane lì nella penombra. Ma so che c'è. Poi, all'improvviso, a quel suono ne segue un altro. A quel ritmo si aggancia una parola. A quel riff si fonde un'altra ombra che avevo nella mente. E diventano tutt'uno. E una frase diventano due. Al ritornello aggancio anche il bridge o l'arrangiamento. Le parole trovano un senso. Inizio a respirare l'aria di una canzone. Soprattutto per il blues, mi succede. Mi immagino l'atmosfera, la situazione. E come fosse la scena di un film che mi appare davanti agli occhi, provo a raccontarla. 

Non c'è una formula fissa, nè un inizio o una fine. Non riesco a pilotarla, viene fuori e basta. Mi è sempre successo così. Ora, ogni volta che lavoro sulla chitarra, penso ad un blues. Lo lascio correre lungo la mente, senza controllo. Non provo ad incastrarlo dentro ad una metrica o un cluster, semplicemente è libero. Di dire, di urlare, di arrivare dove vuole. E poi lo tengo stretto, finchè non lo fisso su un foglio.

Perchè la cosa peggiore dello scrivere una canzone, è dimenticarla. Anche questo mi succede spessissimo. Ed è una cosa che odio. Davvero. Ci rimango male per giorni e giorni, e più provo a ripensarci, meno mi viene in mente. E' un incubo, una ossessione. Ormai ho imparato a conviverci, ma non è stato sempre così. Adesso vivo con blocchetti per appunti ovunque, persino sul comodino. E' durante la notte, quando ci si sveglia, che si crea meglio. Almeno, nel mio caso. Ho scritto già diversi pezzi sognandoli arrangiati con la mia chitarra, so -spero - che un giorno riuscirò a farli davvero. 

Ancora non è arrivato il momento del mio blues perfetto, ne sono lontanissimo. Ma non è arrivato nemmeno il momento della chitarra perfetta... per cui alla fine i conti tornano.

Se c'è qualcuno che sta leggendo queste parole, e ha la passione per il Blues. Se c'è qualcuno che ha voglia di prendere delle parole, provare a sentirle.. e capire cosa può venirne fuori.. questo è il posto giusto. Se qualcuno vuole andare oltre la filosofia 2.0 dell'interazione...e per un momento, per un solo attimo condividere più di un commento..ma un pezzo di anima: questo è il posto giusto.


Ho scritto questo pezzo sotto la neve, a milano, in febbraio. Stavo andando ad un appuntamento di lavoro. 


Ci sarebbe anche la musica, ma..se ognuno ha una parola da aggiungere o un arrangiamento su cui farle volare.. 



milano sotto la neve
in un silenzio che non si può raccontare
sotto un cielo di lampioni spenti
e qualche luce che non va a dormire

c'è ombra che balla nel vento
in un waltzer che non avrà fine
in ogni notte che sembra infinita
e la luna che guarda lontana


ballo con te, mia dolce signora
ballo con te questo waltzer, di noi
ballo con te nel ritmo, per strada e poi
riportami a casa è qui.. riportami qui 

milano un altra illusione
e troppe vite da vivere insieme
non c'è giorno, notte, che basti
per sentirsi davvero contenti

milano ti prende e ti culla
e ti abbraccia con la sua magia
ma questa notte, la neve che cade
questa milano è soltanto mia  

venerdì 22 marzo 2013

Il cuore. Il Pick up






Quando accesi la chitarra per la prima volta, attaccando il pick up al filo ancora sospeso dell'amplificatore, fu una sensazione incredibile. Quando poi le aggiunsi altre corde, il ponte (bottiglia) e la meccanica, un nuovo brivido. Ma ancora era uno strumento a se stante, viveva in un limbo di suoni tutto suo. Era arrivato il momento della grande prova, della verità: era arrivato il momento di capire se quello che avevo fatto sarebbe rimasto a se stante, o sarebbe diventato uno strumento vero. 

C'era solo un modo per scoprirlo: farlo suonare insieme ad altri strumenti, su una canzone vera. Quella sarebbe stata la prova del fuoco. Dura, ma necessaria. Accordai maniacalmente ogni corda, facendo tutte le prove che le meccaniche reggessero. Presi il mio computer, un loop in 4/4 di percussioni, e la mia chitarra - vera - per un giro di accordi blues. Non erano necessari fraseggi complessi, sul blues c'è la verità: o funziona, o non funziona. Tutto il resto sarebbe stato un contorno. 

Dopo aver registrato la base, mi accorsi che la chitarra vera era leggermente scordata. Ma avevo fretta di provare, ormai avevo già fatto il giro di prova e i motori erano a pieno carico davanti al semaforo di partenza. Non avrei retto un nuovo giro per la base. Scordai la mia steel preparata. Attaccai il jack all'amplificatore ( togliendolo dalla chitarra vera.. e già da lì sentii la differenza tra il suono della mia, grezzo e sporco, e quello corposo e pieno delle vera) e mi preparai. Nei due minuti successivi avrei avuto la risposta. Feci partire la base, primi due giri a vuoto di percussione. Poi l'entrata della base. Appoggiai lo slide sulle corde, timidamente - e stupidamente, quasi lo facessi per non far sentire nemmeno me stesso.. visto che ero solo nella stanza dove vivo - sfiorai le corde per accertarmi che fosse tutto acceso e che l'elettronica funzionasse. 

Avevo puntato sulla tastiera i riferimenti (ancora non era pronta la tastiera vera.. in pratica sul bordo del legno, a matita, mi ero segnato dove più o meno potessero essere i tasti) e cominciai. Il primo riff fu abbastanza drammatico: avevo talmente paura del risultato, che non beccai nemmeno una nota. Statisticamente difficile, quasi impossibile. 

Il secondo andò un po' meglio: diminuii notevolmente il numero di note che volevo suonare, concentrandomi su quelle base. Dove volevo andare? nemmeno sapevo suonare e già pretendevo di fare il virtuoso? Poi sciogliendomi le cose andarono sempre meglio. Dovetti suonare qualche volta l'intero pezzo prima di prendere un po' di confidenza con lo strumento. E finalmente, uscito dal panico da prestazione, iniziai ad ascoltarlo. E funzionava. Diavolo, se funzionava. Quello che successe dopo fu stupendo. Venni preso da una sorta di raptus musicale, non riuscivo più a smettere di suonare. e quanto era divertente! La mia chitarra, quella che avevo costruito io.. sì, proprio lei, riusciva a stare vicino ad una chitarra vera! a seguire un ritmo! rimanere accordata! Non ci potevo credere. 

Da quel momento smisi di chiamarla "Baracchino", come la chiamavo affettuosamente. 

Ma ancora non ho trovato un altro nome. 

lunedì 18 marzo 2013

Questione di dimensioni: il plettro




Le dimensioni nella vita non sono tutto, come disse qualcuno. Quando si suona la chitarra c'è un elemento che raggiunge livelli quasi di sacralità. Il plettro. un piccolo oggetto di plastica, più leggero di una nocciolina. Eppure rappresenta il cuore di tutto. E' lui che costruisce il suono. Ogni chitarrista ne ha tanti, molti li collezionano. 

Per qualcuno la ricerca del plettro perfetto diventa una ossessione. Nella vita di ognuno sono passati per le mani migliaia di pezzi eppure.. ce ne è sempre uno speciale, quello che si tiene in tasca, nel portafolio, nel fodero della chitarra. E lo si usa in occasioni speciali, spesso da soli. Spesso ricorda una esperienza.. il primo concerto, il luogo dove lo si ha comprato, una festa o un evento.. oppure è stato regalato da qualcuno di speciale. 


Quando ho provato per la prima volta la mia chitarra, ho scelto anche il plettro con cui darle il battesimo. Ho un piccolo sacchetino in tessuto dentro il quale li conservo. Penso fosse un porta-zippo di un vecchio zaino che avevo. Quando ancora gli Zippo andavano di moda. Ho ancora il primo plettro che ho comprato, che mai - miracolosamente- ho perso. L'ho smarrito diverse volte, ma alla fine è sempre tornato. Poi ne ho uno di Steve Vai, che aveva lanciato dal palco durante un concerto. E uno dei Metallica. Lo so, è tutto molto infantile, ma sono bei ricordi. Ne ho un paio comprati in giro per il mondo, un paio che avevo suonato in occasioni particolari. E poi un sacco con forme e colori strani perchè - anche io- per un certo periodo sono precipitato nel buio del collezionismo. Non era semplice scegliere il primo, sarebbe stato quello che per sempre avrebbe rappresentato l'inizio. E non mi andava di prenderne nemmeno uno nuovo.. Troppo semplice. Nel vuotare il sacchetto mi cadde sott'occhio qualcosa che non vedevo da tempo. 

Andando in America, a Memphis, tanti e tanti fa.. davanti ai Sun Studios avevo fatto quello che si può definire l'"essere turista medio". In una macchinetta avevo schiacciato ( a caro prezzo!) una moneta da 5 cent ed era diventata una piccola medaglietta dei Sun Studios. So che è estremamente kitch, però era divertente. Mi ero anche dimenticato ( o avevo rimosso) di averlo fatto.. e non ricordavo fosse lì. Era perfetta, proprio quello che mi serviva. mai usata prima, simbolo di qualcosa che mi aveva commosso.. e soprattutto - come la mia chitarra non era una chitarra vera - quello non era un plettro vero. Provai ad usarlo sulla mia chitarra normale, il suono così metallico aveva un sapore strano. Ma nel complesso non era male. Le lavorazioni, poi, lo rendevano comodo e non scivolava dalle dita ( mio grande problema da sempre). 

Sarebbe stato perfetto. 

Il suono, quando lo provai,era come lo avevo immaginato: estremamente metallico, aggressivo.. e mi piaceva. Sicuramente - poco dopo ne presi uno in plastica normale -

venerdì 15 marzo 2013

La scelta. Il Dubbio. Il dramma. Le corde




Le corde della chitarra sono un oggetto strano. Un mondo a se stante. Solo chi ha vissuto l'esperienza di andarne a comprare una muta può capire quello che sto scrivendo. Sul mercato oggi ne esistono milioni di modelli. Di ogni dimensione, marca. Molti dei più importanti chitarristi hanno fatto corde a proprio nome. Quanto sia passione, e quanto sia marketing, non so. ma poco conta. 

Non so se oggi sul mercato ci sono più tipologie di corde di chitarra, o rubinetti per i bagni. Sembra un paragone folle, è vero. 

Mi è capitato un po' di tempo fa, quando ho messo su casa, di dover scegliere anche i rubinetti dei bagni. pensavo di entrare in un negozio, vederne qualche modello, valutare il prezzo.. comprarli, e uscire. Pensavo non sarebbe stato così complesso. Ma di tipi di rubinetti ce ne sono milioni, talmente tanti da rendere praticamente impossibile la scelta. E di ogni modello, almeno dieci versioni diverse..e la possibilità, per ognuna di esse, di essere adattato alle proprie esigente. .. E detta coì è già molto più semplice di quanto si possa immaginare. 

Quando mi sono trovato davanti allo scoglio dei rubinetti, mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, quando andai per la prima volta a comprare delle corde della chitarra. Ero un bambino, abbastanza basso da non poter portare la chitarra a mano altrimenti con la fodera toccava terra. e così o mi distruggevo il braccio ( la chitarra, pesa!) oppure mi inventavo strani modi per metterla a tracolla. Era una chitarra classica, una sorta di cassetta della frutta con sei corde, ma per me era il massimo. E nei miei ricordi lo è ancora. 

Un drammatico giorno mi si ruppe una corda. nessuno mi aveva detto che a volte succede, se sono troppo vecchie.Per me era stato un dramma. Superato lo shock decisi di andare nel negozio dove l'avevo comprata e comprarne un'altra. Avrei potuto aspettare il lunedì successivo, giorno in cui avevo lezione, per capire cosa fare.. ma non avrei mai aspettato così tanto tempo. Per fortuna appena entrato il commesso mi riconobbe e fu subito da me. Allora pensavo che bastasse entrare e dire - mi si è rotta una corda, me ne da un'altra? - Non dimenticherò mai il sorriso beffardo del ragazzo. Era stato come dare una dose di sangue a Dracula. Prima mi fece una lunga pantomima sull'importanza delle corde, poi sulle dimensioni ( che non ricordo perché dopo dieci secondi di spiegazione, già mi ero perso). Poi mi interrogò sugli stili che suonavo, quali canzoni, con che tecniche. Io sapevo fare solo pochi accordi, e il mio mondo finiva lì. Poi mi fece aprire la chitarra per vedere quali corde avevo su. Ripensandoci adesso, se le corde erano coerenti con la chitarra.. non oso nemmeno pensare che filacci di ferro potessero essere! Poi cercò a lungo nei cassetti del negozio per cercarne una simile alla mia. Risultato: purtroppo quella marca era terminata. C'era una unica soluzione: cambiarle tutte. e già che erano vecchie, sarebbe stato necessario in ogni caso. 

Studiò attentamente le corde, prese un sacchettino di plastica con foglietti azzurri dentro e mi disse - queste sono quelle che fanno per te -. ovviamente non mi spiegò come si cambiassero, né cosa avessi comprato davvero. presi il pacchetto, pagai e -timido - tornai a casa. Dovetti aspettare fino al lunedì per farmi spiegare davvero quali fossero le differenze, e come si montassero. ma quella fu una delle lezioni più belle: ormai la chitarra era mia, davvero mia. Sapvevo badare a lei, non c'erano più segreti. 

Quando si costruisce una chitarra, uno dei pensieri è - quali corde metterò? - perché da esse dipende gran parte del timbro del suono, e molto altro. Mentre costruivo la mia, in realtà, ho sempre utilizzato corde di scarto, quelle che avanzano da vecchie mute non utilizzate, o addirittura da vecchie chitarre quasi dimenticate. Quando ero sul punto di terminare la chitarra, mi venne la tentazione di cambiarle. Così, per avere tutto nuovo. Ma ormai mi ero affezionato anche a loro, e da allora ho deciso che le cambio solamente quando si rompono. Devono essere loro a decidere che è ora, non io. 

E fino ad adesso mi sono trovato benissimo.

Se adesso dovessi comprare un altro rubinetto, però, ancora non saprei da che parte cominciare.

lunedì 11 marzo 2013

Lo specchio di te stesso







La chitarra che costruisci diventa lo specchio di te stesso. 
Anzi, peggio. 
Perché lo specchio ti mostra come sei in quel momento, ma se vuoi puoi cancellarlo il giorno dopo. 
Riguardando la mia chitarra riesco a rintracciare lo stato d'animo di ogni giorno da quando ho cominciato. 

Ci sono stati giorni in cui ero teso, altri in cui ero felice. Ci sono state sere in cui ero stanco, e altre con energia da regalare. E ognuno di questi momenti si è trasformato, inconsciamente, nel modo in cui lavoravo il legno. 
Ogni colpo è rimasto indelebile nel legno, scolpendo me stesso. Forse il risultato che ho davanti è il bilancio di questo periodo. Bello, complesso. Intenso. E quando te ne accorgi - a me non è capitato subito, anzi.. c'è voluto un bel po' prima che me ne rendessi conto - ti appare tutto all'improvviso. 

Come se il legno ti volesse parlare, e diventasse la tua memoria storica. Non la memoria razionale, quella fatta di ricordi. la memoria emozionale, quella che nemmeno mi ero accorto di poter avere. E non servono altre parole, ti racconta lui stesso la tua storia. 

Ti accorgi che non sei tu che stai facendo qualcosa, ma all'improvviso ti senti attore di una commedia alla quale non sapevi di essere parte. Una commedia nella quale non c'è un copione, ma che puoi rivedere attraverso la tua chitarra. Nessun giudizio, nessuna parola. 

Lo osservi come lui sta osservando te. 

Il migliore degli amici, o il peggiore nemico. 

Sicuramente, non mente. 

martedì 5 marzo 2013

L'odore del legno



L'odore del legno è qualcosa che ti entra dentro, e rimane. 

Puoi dimenticare tutto, ma non quel profumo. Ogni pezzo è una esperienza a se stante. Il profumo ti avvolge, ti abbraccia. Se poi decidi di fare la tua chitarra provando ad utilizzare il meno possibile strumenti elettrici, godi ancora di più. Lavorare il legno porta la mente in una dimensione parallela, mistica. Come un lento cammino. Io ho costruito il corpo all'aria aperta, nelle sere d'estate. 
I minuti, le ore, scivolano via alla velocità della luce. Eppure tutto sembrava scorrere così lentamente! Alcune sere arrivano alla fine e pensavo - ma in tutto questo tempo ho fatto solo questo? - .. - non è servito a niente -.  - se vado avanti così non finirò mai.. mai! - e mi arrabbiavo. Perché la vita di tutti i giorni, la frenesia, l'ansia del finire tornava nella mente come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Ma poi sentivo che il segreto era tutto lì: per un attimo potevo fare quello che volevo, e avevo fatto come avevo voluto. 

Nessuno mi chiedeva di consegnare un lavoro, nessuno - o quasi - sapeva nemmeno che lo stavo facendo. Avrei potuto passare la serata a guardare la tv o fare altro, eppure quella era la mia scelta. nessun vincolo. Potevo fare la mia chitarra in un modo o nell'altro. lasciarla a Metà. Spezzarla in due. Nessuno lo avrebbe mai saputo.. e forse a nessuno sarebbe nemmeno importato. 

L'odore del legno racchiudeva quell'attimo di libertà estrema. 

E se l'andare piano a volte sembrava un problema, poi l'arrivare verso la fine lo era altrettanto. 
Il traguardo non era sinonimo di ferità, se il cammino era così bello. Ed ogni volta che sentivo di arrivare vicino alla meta, inventavo qualcosa di nuovo. per migliorare. per non finire mai. Per non perdere la sensazione del profumo del legno. Perché non farne semplicemente un'altra, allora? Chiudere il progetto e ricominciare dall'inizio? E' vero, poteva essere una opzione. E spesso ci ho anche pensato. Ma ormai a quel pezzetto di legno mi ci ero affezionato. Gli avevo regalato un pezzo di anima, e lui la sua. Mi sarebbe sembrato quasi un tradimento. Stupido? Provate voi ad abbracciare un pezzo di legno, scolpirlo, lavorarlo. 
Sentirete che là dentro c'è qualcosa di vivo, che vi tiene legati. 

E da cui, poi, non vorreste mai staccarvi.